Storia
a più voci
Storia a più voci
Stralci dal “Breve racconto a più voci della storia della Lucerna”
Pietro
Per cominciare voglio descrivere cosa desideravo realizzare nella vita. Desideravo vivere concretamente il vangelo, amare i poveri, questo lo avvertivo come un imperativo: non avrei potuto lavorare, vivere e anche sposarmi senza questo stile.


Rita
Era il lontano 1984 (ottobre?). Eravamo su un pulmino io ed Ercole (appena sposati), Giuli e Pietro, Maura e non ricordo chi altri. Durante il viaggio Pietro espone il desiderio di creare un posto di lavoro che tenesse in considerazione anche i più deboli. Ercole era entusiasta, io un po’ meno, venendo da ambienti un po’ più sterili di quelli frequentati da loro. Nonostante il mio scetticismo, a novembre mi ritrovai insieme a Pietro, Patty , Mario, Giordi e Grazia ad iniziare questa esperienza strana ma bella.
Pietro
Non ricordo in che modo trovai due stanze… lunedì 19 novembre partiamo con il pulmino della parrocchia io, la Grazia e la Patti Govi della Casa della Carità a raccogliere ritagli di stoffa tra le varie aziende manifatturiere della zona, raccogliamo anche carta e dopo poco cominciamo ad assemblare oggetti di plastica. Decidiamo di costituire un’associazione di volontariato: “La Vigna” su consiglio ed esempio di don Daniele Simonazzi. Anche lui, da poco, aveva avviato una piccola attività di assemblaggio e riciclaggio per gli ospiti di via Adua; eravamo agli inizi del movimento delle cooperative sociali.

Paola
Nell’84, frequentando la casa di accoglienza dei servi della chiesa di via Adua, avevo conosciuto fratelli profondamente feriti. Ripercorrendo le storie delle persone che avevo conosciuto e cercando di esplorare le cause di quelle sofferenze mi sono resa conto che nel mondo del lavoro quasi sempre le persone valevano per quello che producevano e chi aveva difficoltà o problemi veniva scartato. C’erano due mondi: da una parte quello organizzato, che produceva, fatto di persone efficienti e di profitti, e dall’altro quello delle persone ferite e scartate, che non potevano partecipare e che al massimo potevano ricevere dagli altri l’elemosina. (Allora non c’erano inserimenti protetti o altri strumenti come oggi).
Mi dicevo: ci deve essere un modo di lavorare più giusto, che non escluda questi fratelli che soffrono e che non sia un’ elemosina data a chi è destinato a rimanere escluso. La Provvidenza ogni tanto si manifesta in modo chiarissimo. Due persone , per strade diverse, mi hanno parlato della “Vigna” di Cavriago, invitandomi a conoscerla. C’erano persone molto diverse che assemblavano dei pezzi attorno ad un tavolo, poi finito il lavoro si pregava. Nei primi tempi non avevo capito bene cosa avevano in mente, quali erano gli obiettivi dell’associazione “La Vigna”; intuivo però che nell’esperienza de “ La Vigna” c’era qualcosa di speciale, per questo ne avevo parlato con entusiasmo alla Lucia e lei era subito venuta.
Ho compreso poi con chiarezza che quel grande desiderio di giustizia che il Signore mi aveva fatto sentire tante volte, adesso aveva la possibilità di iniziare a realizzarsi con quelle persone che sentivano le stesse cose che sentivo io. È stata un grande e ripetuta emozione quella di sentire l’eccezionale coincidenza di aver incontrato degli amici con i quali poter realizzare un sogno.
Giuli
Quello che mi ricordo dei primi tempi è soprattutto un gran entusiasmo, un gran fuoco; la gioia di avere trovato delle persone che capivano al volo i sogni che avevamo dentro; la gioia di sentire che c’era una strada da percorrere, che era possibile vivere alla luce del vangelo, cercando di amare senza riserve chi avevamo vicino; la gioia di sentire quanto il “portare gli uni i pesi degli altri” facesse trovare il peso soave e il giogo leggero del nostro Signore Gesù. Pensavo che non si poteva essere felici da soli, ma che tutto quello che avevamo trovava il suo senso e la sua pienezza nell’essere condiviso.


Lucia
Un giorno con la Paola siamo andate a trovare questo piccolo gruppo di ragazzi di Cavriago che si trovavano in un appartamento un po’ sgangherato per fare qualche lavoretto di assemblaggio. Erano in 8-9 in tutto, tra ragazzi che avevano appena finito di studiare e persone anche di età più adulta ospiti delle case della carità. Insieme facevano questi lavoretti con i quali non guadagnavano quasi niente, però mentre lavoravano e pregavano cercavano di condividere un po’ la giornata insieme e questo mi piaceva molto. Alla mattina si cominciava con le lodi e poi si facevano i lavoretti che c’erano. Durante i lavoretti per un pezzo della mattinata c’era sempre una persona che leggeva o libri o meditazioni e si cercava di mettere in comune le riflessioni su quello che si leggeva insieme.
Paola
Ricordo in particolare la lettera ai giovani di Giovanni Paolo II che abbiamo letto mentre lavoravamo:
“Vi auguro anche di sperimentare, dopo il discernimento dei problemi essenziali ed importanti per la vostra giovinezza, per il progetto di tutta la vita che è davanti a voi, ciò di cui parla il Vangelo: Gesù, fissatolo, lo amò. Vi auguro di sperimentare uno sguardo così! Vi auguro di sperimentare la verità che egli, il Cristo, vi guarda con amore!”
Avevamo tra i 19 e i 22 anni ed erano parole che sentivamo dette proprio a noi, per quel nostro sogno e quella nostra avventura insieme. Di quel periodo ricordo la gioia di non dover emergere e non dover competere, l’essere insieme senza distinzioni tra chi era efficiente e chi non lo era, facendo un lavoro manuale semplicissimo che ci permetteva di essere presenti all’altro e che ci ha permesso anche di pregare e di meditare.

Dino
Cercavan sempre della terra, in attesa che saltasse fuori ‘sta benedetta terra si eran messi in società con uno a fare i funghi, mi ricordo anche quella storia lì, che poi è andata male… ma han girato parecchio a cercare la terra, un paio d’anni , allora è stato il momento in cui si era più preoccupati, noi eravamo preoccupati perché non si sapeva, non si capiva, che piega si prendeva…
C’era questa lavorazione della pelle, però non c’era niente: non c’eran soldi, non c’eran macchinari, non c’era chi avesse dell’esperienza… la cosa era molto limitata… era con delle vedute molto piccole, però noi da genitori abbiamo sempre avuto molta fiducia, poi forse nel nostro istinto di gente che vien dalla terra, di essere sempre disponibili, anche se eravamo preoccupati, perché si continuava a cercare della terra… allora cercare della terra non era come adesso, allora cercare della terra era una cosa abbastanza difficile.
Pietro
Dopo un anno e mezzo di ricerche si offre la possibilità di un podere in affitto di 33 biolche a Campegine. Siamo nell’inverno del 1986. Nello stesso anno costituiamo una cooperativa agricola “La Lucerna” con la previsione di sopprimere a breve l’associazione “La Vigna” che ormai come statuto e caratteristiche giuridiche era diventata stretta. La scelta della cooperativa ci sembrava la più coerente con i nostri ideali e così piano piano entriamo anche nel mondo della cooperazione. Certo, non è stato così facile passare dalla “Vigna” alla “Lucerna”, da Cavriago a Campegine, da un lavoro intorno ad un tavolo al lavoro sotto il sole, ma l’entusiasmo era talmente forte che ci ha permesso di superare fatiche, paure e preoccupazioni enormi.
Abbiamo affrontato il problema del biologico quando non c’era quasi niente, uno di noi si era posto il problema, si sapeva di gente in Germania, in Svizzera e in Francia, ma il movimento italiano non c’era. Ci siamo posti il problema dal punto di vista etico, noi produciamo da mangiare per noi e per la gente, c’è gente che lo fa rifiutando di utilizzare diserbanti e cose che avvelenano noi e il terreno. Perché non proviamo anche in base a tutti i principi etici e religiosi che abbiamo? Perché anche da un punto di vista di fede il Signore ci ha messo come custodi del terreno, del Creato, non come padroni. I custodi cercano di fare il meglio possibile e cercano anche di preservare, di salvaguardare il terreno, la fertilità, tutto questo che è stato donato. Abbiamo provato e la roba veniva. Più parlavamo, più conoscevamo altre persone, più ci rendevamo conto che era giusto, che era una scelta doverosa. Bene o male è l’unica strada che possa dare un futuro, garantire un futuro anche alle generazioni che verranno. Il terreno se non lo rispetto si desertifica. La fertilità c’è, è una cosa che si riproduce, si rigenera, però l’uomo può anche distruggerla. Noi stiamo addirittura sconvolgendo il clima, non era solo una scelta così, fortunatamente il movimento si è allargato, abbiamo conosciuto altra gente, sono arrivate le leggi etc. C’è stato un riconoscimento della validità della scelta. Contemporaneamente andava avanti la costruzione della cooperativa, del modo di lavorare, del modo di organizzarci, di dividere i soldi.
Giuli
Ripensando ad allora sento in modo particolarmente chiaro che se tu ci metti del tuo, se tu ci metti tutto, al resto pensa il Signore. E così è stato!
Il nostro desiderio di singoli e di coppia era di metterci al servizio degli altri e di creare un ambiente dove le relazioni d’amore fraterno ne fossero il tessuto principale.
Parlano le nuove generazioni

Marta
Conosco la cooperativa la Lucerna da 27 anni e 7 mesi, ci sono nata e cresciuta ed ora ci lavoro. Insomma non mi sono ancora stancata di starci dentro. La mia famiglia è nata e cresciuta a sua volta all’intero della Lucerna, contribuendo al suo sviluppo, al suo cambiamento alle sue sfumature, partecipando alla vita lavorativa e al tempo libero della cooperativa. Originariamente La Lucerna nacque dall’intento di lavorare insieme di un gruppo di giovani e amici, legati più o meno tutti dalla conoscenza delle case della carità della diocesi di Reggio Emilia, in particolare a quella di Cavriago. L’idea, per come è stata raccontata a noi figli, era quella di lavorare insieme, mettendo insieme le forze e lasciando spazio anche a persone con fragilità o con disabilità di partecipare. Il valore grande che trainava tutto era l’uguaglianza, non importava l’avere più o meno competenze, l’essere più o meno capaci o fortunati, ma mettere le proprie energie e capacità nel rispetto del dono della vita, della persona e del creato. La spiritualità cattolica semplice del mondo delle Case di carità ha dato un’impronta grande allo stile della cooperativa, che da sempre ha dato molta importanza all’essenzialità, al valore del volontariato, all’accoglienza degli emarginati e all’accoglienza di diversità di pensiero e cultura, alla semplicità delle scelte di vita e dello spendere del tempo, al rispetto dell’ambiente. Dalla fine degli anni ‘80 il gruppo, composto da singoli e giovani famiglie, ha cominciato ad aumentare di numero, abbastanza velocemente e questo per noi figli è stato un bene. Io personalmente ho dei bellissimi ricordi di quando ero piccola, vacanze insieme in inverno, estate sempre insieme, nel prato o nei campi in bicicletta nello spazio intorno alla cooperativa o a costruire cose con il legno, o a inventarsi teorie sul camminare scalzi, o a dare una mano nei piccoli lavoretti della vita dell’azienda. Uno spazio di circa 22 ettari di campagna è stato il posto perfetto per passare il nostro tempo da piccoli. Era come se noi fossimo tutti fratelli quando giocavamo, ed effettivamente eravamo molto vicino ad esserlo, passando la maggior parte del tempo insieme, per lo meno fino all’inizio delle scuole. Da dopo l’avvio dell’attività agricola, il nucleo fondante si divise in due parti: i soci lavoratori, coloro che effettivamente lavoravano in azienda e i soci non lavoratori, per lo più amici della cooperativa, che avevano contribuito al suo avvio e alla formazione dei suoi ideali ma non lavoravano al suo interno. Vennero stabiliti alcuni momenti fissi per incontrarsi, il mercoledì sera (a cena e dopo cena), la prima domenica del mese (per fare un momento di condivisione insieme su un tema scelto e aggiornarsi sull’andamento dell’azienda), e le vacanze insieme (in inverno qualche giorno e d’estate almeno un weekend). Grazie a questa volontà forte dei membri di rimanere legati, di spendere del tempo, di approfondire temi culturali, religiosi e politici, di divertirsi, anche noi figli abbiamo avuto un terreno fertile e positivo per crescere, per cambiare, per ascoltare e per trarre ispirazione per il nostro futuro. Ora siamo cresciuti e un po’ sparsi. Alcuni di noi sono in ricerca, alcuni hanno avviato un sentiero, ma sicuramente siamo tutti legati a un passato comune bello. In due abbiamo scelto di continuare a lavorare in cooperativa, e giorno dopo giorno cerchiamo di capire come continuare a crescerci dentro e renderla anche nostra. Da alcuni dei figli della Lucerna è nata tre anni fa la comunità di Roncadella, che si ispira a valori simili di essenzialità, ecologia, vita comunitaria e cerca di fare i suoi primi passi. Insomma ormai comincia ad avere i suoi annetti La Cooperativa La Lucerna, ma di frutti buoni ne ha dati di certo, e io sono convita che per molto tempo ancora ne darà.
Fabio e Daniela
La scelta di cui ci è stato chiesto di parlare è prima di tutto una presa di coscienza e di libertà.
Il tutto parte dal capire di cosa si può o no fare senza, eliminando il superfluo: ne è un esempio il supermercato, il riscaldamento tradizionale, la televisione; di conseguenza si prende coscienza di ciò a cui non si può fare a meno e lo si cerca di reperire in contesti ecologici, sociali e locali; conoscendo personalmente produttori e luoghi, o dove non è possibile ricercandoli con l’aiuto di gruppi di acquisto, amici o altre aziende. Così si arriva alla libertà completa di scelta, fuori da un mercato consumistico, impersonale e indifferente.
Gratificare con la scelta dell’acquisto il singolo produttore serve a promuovere attività locali e di piccole dimensioni.
Solo questo triangolo: locale-sociale-ecologico può far sviluppare una società migliore e più equa. Solo con la nostra scelta di consumatori possiamo farla evolvere.
Tutte queste scelte sono troppo stancanti se non supportate dall’aiuto di amici, vicini, parenti e dalla comunità di lavoro.
Diventa quindi importante, se non fondamentale, cercare contesti comunitari che seguano questi principi, dove aiutarsi fisicamente, mentalmente con anche la condivisione di ricerche personali e di vissuto, oltre che nella solidarietà. Quest’ultima non può rimanere un discorso marginale, perché la diseguaglianza divide la comunità, e ciò va contro a quanto detto prima.
Lo stesso discorso si può aprire all’ecologia: lo sfruttamento e l’inquinamento creano disparità generazionali per chi ci succederà.
In un lavoro gratificante, perché di sostegno alla collettività, e non solo produttivo e personale, si trova la libertà del produttore (non solo concreto, ma anche di servizi). Cosicché riesca a non essere solo parte di un processo consumistico ed economico. Il consumatore e il produttore escono così da un discorso di mercato individualistico e capitalistico e reciprocamente si incentivano in possibilità di sviluppo e ricerca, non solo di profitto e di consumi, non dettati dal mercato globale.
Nel concreto tutto ciò si traduce con la partecipazione al progetto cooperativo “La Lucerna”; l’aver sostituito il supermercato con produttori locali; non usare il gas metano (che produce guerre e opere invasive) utilizzando legna a km0 e il solare termico, conoscere i vicini e mantenere dove possibile ottimi rapporti; partecipare ad attività di aiuto sociale nella comunità di residenza.

Filippo
Non si sceglie l’ambiente nel quale si nasce, né i valori con cui si cresce ma questi, a volte, possono scegliere ciò che uno diventerà. Questo è particolarmente vero per chi, come me, è nato e cresciuto alla Lucerna. Essendo nato e vissuto fisicamente all’interno della cooperativa in un momento in cui la vita di questo gruppo aveva già tanta esperienza, i valori con i quali è nato sono sempre stati di casa. Prima di tutto il senso della collettività e della vita comunitaria, una vita che è alla tua stessa tavola ad ogni pranzo ed entra in casa tua, volente o nolente, ogni settimana con tutta la sua confusione e allegria. E poi il rispetto e la salvaguardia della natura o forse, ancor meglio, l’intimità e la complicità con la natura. Ho passato tutti i giorni della mia infanzia insieme agli altri bimbi e ragazzi tra gli animali, nei campi, sopra gli alberi, vedendo sempre sotto i miei occhi un’attenzione particolare verso la terra.
Essendo tra i più giovani della cooperativa, questi valori, intesi come modi di vivere concreti, sono sempre stati qualcosa che esisteva prima di me, quasi miti, e per questo naturali e scontati come l’aria che si respira e la terra su cui si cammina. Poi crescendo e aprendosi anche ad ambienti diversi, o semplicemente più “normali”, ci si rende conto di quanto queste scelte siano in realtà preziose quanto rare e davvero necessarie per un’inversione di rotta rispetto ai problemi della società, soprattutto quelli ambientali. I valori assorbiti inconsapevolmente per tanti anni diventano quindi un dono e un tesoro da proteggere e da trasmettere, per quanto possibile, a chi ci sta intorno. Ancora una volta non come dogmi o dottrine ma semplicemente come esempi di vita vissuta, con determinazione e fatica.
La sfida per me e per noi Lucernini più giovani è ora trasformare la scelta dei nostri genitori e dei nostri amici più grandi nella nostra scelta, presa non più come qualcosa di scontato ma come qualcosa da riconfermare e riadattare ogni giorno in ogni situazione.